Capoluogo comunale che domina la valle del Teggina da un poggio coperto di castagneti. Due anime lo caratterizzano:
Ortignano Alto – il nucleo medievale, le cui case sono assiepate sul colle dove sorgeva il castello.
Ortignano Basso – l’area municipale alla confluenza di due torrenti, punto di partenza della strada verso Raggiolo e il Pratomagno.
Ortignano è un piccolo borgo casentinese che si affaccia sul fondovalle del torrente Teggina, incastonato fra i declivi boscosi che salgono rapidamente verso il crinale del Pratomagno. Il toponimo deriva dal latino Hortius o Hortinius, probabili nomi di persona, a testimonianza di origini antiche. La prima menzione certa risale al 26 agosto 1225, quando l’abate Rainaldo di Capolona arbitra una contesa «pro torri positis in Ortignano et Raggiolo», a conferma di un legame storico con il vicino castello di Raggiolo che dura tutt’oggi nel nome stesso del Comune. Nel corso del Medioevo Ortignano passò più volte sotto i Conti Guidi di Poppi e la giurisdizione aretina, fino alla definitiva sottomissione a Firenze nel 1349; a fine Ottocento, con Regio Decreto del 1873, si unì amministrativamente a Raggiolo creando l’attuale Comune montano di Ortignano Raggiolo.
Dal punto di vista geografico il paese si sviluppa su un pendio soleggiato, con le case addossate al versante per dominare la valle: da qui lo sguardo spazia sui castelli di Giogalto e, in lontananza, di Fronzola, immersi nel verde intenso di castagneti e faggete. L’abitato moderno si articola fra la parte alta, antica sede del castello oggi sostituito da una villa privata, e la parte bassa, alla confluenza di due torrenti, dove sorge il Palazzo Comunale. Oggi Ortignano conserva l’atmosfera silenziosa dei borghi in pietra, ma offre servizi essenziali, accoglienza diffusa e sentieri che risalgono il bosco fino alla Croce del Pratomagno, meta amatissima dagli escursionisti.
La chiesa di Ortignano, situata all’ingresso del paese lungo la strada provinciale, era in origine dedicata a Santa Margherita; nel maggio 1699 fu elevata a pieve e affiancò al titolo antico quello di San Matteo Apostolo. L’edificio, a tre navate con arcate su pilastri, conserva all’esterno lapidi del 1656 e lo stemma dei Zacchesi; dietro l’altare maggiore era custodita la Madonna col Bambino e Santi di Giacomo Pacchiarotto (fine Quattrocento), oggi al Museo Diocesano di Arezzo. All’interno si leggono ancora tracce di un raffinato impianto settecentesco, mentre all’esterno spiccano portali incorniciati da archi in pietra con chiavi scolpite. La pieve fa da quinta scenografica all’intero borgo: alle sue spalle la collina ricorda l’antico castello, davanti si apre la valle con i boschi e i torrenti che da secoli scandiscono la vita di questa comunità montana.